Mi sento parte in causa...
Partecipo alla discussione in quanto una delle mie due figlie è entrata nel club del "cambi" e quindi posso fornire una testimonianza diretta. Precisando innanzitutto che l'altra figlia (giocavano nella stessa squadra in quanto una è del 97 e l'altra del 98) è rimasta dov'era...
Nel nostro caso la decisione è stata presa dalla ragazza (così come l'altra invece ha scelto liberamente di restare) che, più che chiedere di cambiare, aveva detto di voler smettere di giocare. Cosi' si è trovata una soluzione, gradita alla ragazza, per evitare lo stop, ovvero quella che sarebbe stata la conseguenza peggiore. Cosa avremmo dovuto fare? Magari costringerla a proseguire e vederla tornare a casa piangente oppure continuare a far finta di non capire che i mal di pancia erano dei pretesti per non andare all'allenamento? Farle venire il disgusto della pallavolo? No, ero e rimango convinto che un genitore non debba intervenire se non in condizioni estreme, e in quelle estreme non ci metto certo il giocare poco (oltretutto era super titolare) o altre banalità, ma che in questi casi abbia il diritto/dovere di prendere decisioni. Tutto ciò a prescindere dalla eventuale simpatia o antipatia per un allenatore, dalla condivisione di metodi o tecniche (qualche genitore magari sa di pallavolo più di alcuni allenatori), fattori che se non ci sono problemi che coinvolgono le ragazze, non devono assolutamente influire. Purtroppo, o per fortuna, i rapporti interpersonali (allenatore-ragazza o genitore-allenatore) sono diversi da caso a caso, e talvolta si creano situazioni di disagio, o addirittura imbarazzanti.
Sempre riguardo la vicenda personale devo invece sottolineare di aver trovato un interlocutore eccellente nella Società, che al massimo vertice si è presa a cuore la vicenda, dimostrando che certe affermazioni di principio non sono solo banali slogan, ma che fanno parte davvero del DNA del gruppo.